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La cucina delle province siciliane: Catania
Articolo inserito il 28/12/2007 alle ore 20.16.14
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I piatti delle varie province siciliane, sia quelli raffinati che quelli popolari e contadini, rispecchiano gli usi alimentari dei diversi popoli che nei secoli si sono avvicendati sull’Isola. In Sicilia la cucina è arte antica e rappresenta l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che vi approdarono da ogni angolo del Mediterraneo. La tavola resta il luogo d’introspezione delle diverse civiltà. Una chiave di lettura per ogni provincia: ne racconta storia e civiltà, influenze, miserie e opulenze. Prodotti della terra che vengono da ricchi feudi o pietraie arse dal sole, da coste benedette dal mare o dolci colline ricche di frutti e verdure. Siete nel regno dei sapori e non vi resta che gustarvi la Sicilia.
A titolo di cadeau abbiamo aggiunto una ricetta tipica per ogni capitolo. E’ un nostro piccolo omaggio a quelle donne che le inventarono. Chissà quando.
CATANIA
Provincia contadina vissuta all’ombra del vulcano. Così si rivela la provincia di Catania nella sua cucina popolare di tradizione improntata alla massima semplicità. L’espressione più tipica resta la “scacciata” che vede soltanto l’olio e il sale. In edizione più agiata è prevista la presenza di olive o un ripieno di verdure o di formaggio.
Accanto c’è la nobilissima città di Catania con i suoi abitanti. Ne risente subito la cucina cittadina perché il catanese ci mette tutta intera la sua esuberanza, la gioia di vivere, l’allegria, il senso dell’ospitalità. La cucina si fa allora colorata e pure esuberante, magari barocca. Nacquero così splendide creazioni, ricette gustose, riproposte con fantasia nelle bancarelle coloratissime dei mercatini delle feste o alla “pescheria” di piazza Carlo Alberto.
La poesia si fa largo con i primi. Corallini con i cavoli, quelli teneri e profumati di Acireale e le frittole di maiale. La pasta con le zucchine fritte, le conchiglie con la ricotta di pecora e pepe nero sparso come formaggio, gli spaghetti al nero di seppia, oppure ai frutti di mare. Per arrivare a quella “pasta cc’a Norma” creata da uno chef etneo in onore di Vincenzo Bellini. La prima della Norma alla Scala, nel 1831, era stata un fiasco. Deluso, Bellini era ritornato a Catania deciso a non scrivere più una nota. Pare che questo piatto, un’Etna fumante con tanto di sciara di salsa di pomodoro, rocce laviche di tocchetti di melanzane e neve di ricotta salata, l’abbia fatto desistere. Ci aggiunse la “Casta diva” e fu il trionfo! Un bel piatto montato, come si dice in gergo, che andrebbe servito con la Norma in sottofondo.
Nel catanese vi esalterete sopratutto con i secondi. Con il pesce in particolare, orgoglio di ogni bravo chef. Sarago arrostito e profumato al salmoriglio; oppure con olio e limone. Fa impazzire il sauro fritto e sfumato all’aceto, la mostella a brodetto, il tambarello fritto in trance. E poi i mascolini cucinati in mille modi: marinati, in agrodolce, alla pescatora. Le rane a zuppetta compaiono in provincia, sopratutto a Paternò, dove si pescano nelle acque del Simeto.
Per la carne il primo posto spetta allo “zuzzu” che è il nome della gelatina di maiale. I suini da queste parti finiscono alla brace oppure in profumate salsicce. Le numerose mandrie di pecore forniscono il classico arrosto di agnello o castrato. Le interiora avvolte nella cipollina con prezzemolo e timo si servono cotte alla brace. C’è pure un capretto al forno farcito di riso, prosciutto crudo, caciocavallo, uova sode e carne di vitello... Un piatto unico che suppone stomachi ben allenati. Per strada, una volta, si trovava il “mauru” un’alga che si mangiava cruda con una spruzzata di limone: oggi è specie protetta. Non si trova più!
Come nelle Mille e una notte, qui vi parleranno con tenerezza delle ciliegie di Macchia, le salsicce di Linguaglossa, le olive di Biancavilla, le fragole di Maletto, il miele di Zafferana, i dolcetti di Santa Venerina, le castagne dell’Etna, l’aglio di Sant’Alfio... Ortaggi e agrumi sono prodotti della piana di Paternò: eccellenti i rossi tarocchi. Da non trascurare le dolcissime pesche a tabacchiera e tutti quei funghi che crescono nei boschi dell’Etna. I fichidindia, specialità di San Cono, si mangiano freschi oppure in curiose mostarde locali di antica tradizione.
In pasticceria brilla il pistacchio di Bronte utilizzato per dolci e gelati; ottimo come frutta secca per il suo particolarissimo aroma.
I dolci? La fantasia catanese si scatena: “nzuddi”, “ossa di morto”, “bersaglieri e paste di mandorla”, “olivette di Sant’Agata”, “mustazzoli” “cucciddati”, “cannola”, “aceddi ccu l’ova”. Buttatevi sugli amaretti, e quegli unici torroncini morbidi e delicati. Come pubblicità insegna...
RICETTA
Pasta cc’a Norma
Gr. 400 maccheroni
Gr. 100 ricotta di pecora salata grattugiata
10 pomodori maturi senza buccia e semi
una melanzana
un cucchiaio di zucchero
aglio, basilico, sale, pepe, olio d’oliva
Tagliate la melanzana a tocchetti senza togliere la buccia. Preparate una salsa mettendo in padella il pomodoro a pezzetti con il sale e facendo cuocere a fuoco lento per dieci minuti; aggiungete l’aglio schiacciato, il pepe, lo zucchero, l’olio; mescolate di tanto in tanto e lasciate cuocere fino a quando la salsa sarà ristretta. Fate friggere i tocchetti di melanzana e scolate bene per eliminare l’olio di frittura in eccesso. Una volta cotti i maccheroni condite con metà della salsa mescolando bene. Disponete, quindi, nel piatto di portata coprendo con salsa, ricotta salata e melanzane. Dopo, spolverate con ciò che resta della ricotta e mettete abbondante basilico spezzato con le dita.
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