Eduardo De Filippo è stato uno dei più geniali interpreti del teatro italiano, diventando anche regista sia teatrale che cinematografico. Le sue commedie ci hanno lasciato una testimonianza fedele, anche se a volte portata agli eccessi, della vita del Sud Italia nel dopoguerra, dandoci anche una visione a volte comica, ma a volte anche tragica, della Napoli di quei tempi.
Fra le tante commedie scritte da Eduardo una delle più famose è "Questi fantasmi", dove racconta la storia di Pasquale Lojacono, che si fa convincere ad andare ad abitare gratuitamente in un casa di 18 stanze, solo per sfatare le voci secondo le quali ci siano dei fantasmi.
Il brano tratto da questa commedia, che vi propongo qui di seguito, è uno splendido monologo dove Eduardo, piazzato nel balconcino di casa, in attesa di smascherare il fantasma, spiega con maestria sopraffina, al dirimpettaio Prof. Santanna, come si realizza un buon caffè.
PASQUALE (beatamente seduto fuori al balcone di sinistra, ha disposto, davanti a sé, un'altra sedia con sopra una guantiera una piccola macchinetta da caffè napoletana, una tazzina e un piattino. Mentre attende che il caffè sia pronto parla con dirimpettaio prof. Santanna ) A noialtri napoletani, toglierci questo poco di sfogo fuori al balcone... Io, per esempio,; a tutto rinuncierei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell'oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con mani. Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare pure sei, e se le tazze sono piccole pure otto per gli amici... il caffè costa cosi' caro... (Ascolta, poi) Mia moglie non mi onora queste cose non le capisce E' molto piu' giovane di me, sapete, e la nuova generazione ha perduto queste abitudini cbe, secondo me, sotto un certo punto di vista sono la poesia della vita; perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito. Neh, scusate Chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo... con la stessa cura Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente... Sul becco... lo vedete il becco? (Prende la macchinetta in mano e indica il becco della caffettiera) Qua, professore, dove guardate? Questo... (Ascolta) Vi piace sempre di scherzare.... No, no... scherzate pure... Sul becco io ci metto questo coppitello di carta... (Lo mostra) Pare niente, questo coppitello ci ha la sua funzione... E gia' perché il fumo denso del primo caffe' che scorre, che poi e il piu carico, non si disperde. Come pure, professo', prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata piccolo segreto! In modo che, nel momento della colata qua, in pieno bollore, gia' si aromatizza per conto suo. Professo' voi pure vi divertite qualche volta, perché, spesso, vi vedo fare al vostro balcone a fare la stessa funzione. (Rimane in ascolto) E io pure. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me lo tosto da me... (Ascolta) Pure voi, professo' ?.... E fate bene... Perché, quella, poi, è la cosa piu difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore... A manto di monaco..... Color manto di monaco. È una grande soddisfazione ed evito pure di prendermi collera, perché se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete... ve scappa 'a mano o' piezz' 'e coppa, s'aunisce a chello 'e sotto, se mmesca posa e ccafè... insomma, viene una zoza ... siccome l'ho fatto con le mie mani e nun m' 'a pozzo piglia' cu nisciuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso. (II caffè ormai è pronto) Professo', è passato. (Versa il contenuto della macchinetta nella tazza e si dispone a bere) State servito?... Grazie. (Beve) Caspita, chesto è cafè... (Sentenzia) È ciucculata. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina presa tranquillamente qui fuori... con un simpatico dirimpettaio... Voi siete simpatico, professo'... (Seguita a bere) mezza tazzina me la conservo, me la bevo tra una sigaretta l'altra. (Accende la sigaretta. al professore che gli avrà rivolto qualche domanda) Come?.... Non ho capito. (Rimane in ascolto) Aaah... si', si'... Niente, professo'! Io lo dissi: sciocchezze. Non ho mai creduto a questo genere di cose, se no non ci sarei venuto ad abitare. Oramai sono sei mesi che sto qua, qualche cosa avrei dovuto vederla (Ascolta c. s.) E che vi posso dire.... Non metto in dubbio quello che voi mi dite, ma, in questa casa, posso garantirvi che regna la vera tranquillità. Tutto quello che voi vedete sul terrazzo, sul cornicione, fuori ai balconi... a me non risulta, Si, quello che posso dire è che, da quando sono venuto ad abitare qua, le mie cose si sono aggiustate, che questa casa mi ha portato fortuna, che se avessi richieste di camere, la pensione potrebbe già funzionare, ma fantasmi, come fantasmi, è proprio il caso di dire: neanche l'ombra!
Tratto da "Questi Fantasmi" di Eduardo De Filippo |
"Il grillo del focolare, racconto casalingo di fate" di Carl Dickens comparve nel 1846 ed è il terzo di quelli che vennero chiamati "Christmas Book" (libri di Natale). Questo racconto è un misto di reale e fantastico imperniato sul focolare domestico.
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... La signora Peerybingle, uscendo dalla luce cruda del freddo crepuscolo e facendo risuonare sulle pietre umide quei suoi zoccoli che sembravano stampare per tutto il cortile una serie di confuse riproduzioni del primo teorema di Euclide, la signora Peerybingle, dico, andò alla pompa e riempì d'acqua la pentola. Rientrata in casa si tolse gli zoccoli; e, notevolmente rimpicciolita, (perché gli zoccoli erano alti e la signora Peerybingle era piuttosto bassa), mise la pentola al fuoco; ma, ciò facendo, perse la pazienza, o almeno la smarrì per un istante. L'acqua infatti, che è per sua natura fredda, scivolosa, sgusciante e che come tale penetra dappertutto, finanche attraverso le pietre, le era schizzata sui piedi e persino sulle gambe. Ora, chiunque si pregi (e con ragione) delle proprie gambe e della pulizia delle proprie calze, troverebbe sgradevole un simile fatto.
E poi, quella pentola era così ostinata e ottusa! Non permetteva che la si sistemasse sulla sbarra alta della griglia, non intendeva sentir parlare di disporsi a modo sui pezzi di carbone, ma voleva a ogni costo spenzolare in avanti con l'aria di un ubriacone e, da quell'idiota pentola che era, sgocciolare sul fuoco acceso.
Continuava a lamentarsi, e continuava ostinata a fischiare e a sputacchiare; infine, per colmo, il coperchio, resistendo alle dita della signora Peerybingle con una testardaggine degna di miglior causa, si girò sottosopra, poi, con un tuffo di traverso, finì in fondo alla pentola. Nemmeno lo scafo della Royal George quando fu recuperato oppose una resistenza così mostruosa come quella cui ricorse il coperchio della pentola contro la signora Peerybingle prima di lasciarsi ripescare.
E la pentola, in quel momento, aveva pur lei un'aria caparbia, irriducibile; ostentava il manico con spavalderia, e sporgeva l'impertinente beccuccio verso la signora Peerybingle, quasi a dirle beffarda: « Non voglio bollire; nessuno riuscirà a persuadermici ».
Ma la signora Peerybingle, che aveva riacquistato il suo buonumore, si fregò le manine grassocce e sedette ridendo davanti alla pentola. ...
In tal modo, dunque, la pentola diede inizio alla sua serata; così fu che, diventata a un tratto canora e armoniosa, cominciò a emettere incomprensibili gorgoglii dalla gola, e a permettersi sbuffi brevi e musicali che soffocava sul nascere, quasi non avesse deciso se essere o meno una persona di buona compagnia. Fu così che, dopo due o tre tentativi per tener a freno i propri sentimenti conviviali, buttò alle ortiche mutria e riserbo e si abbandonò a un impeto di canto così affettuoso e giocondo quale nessun impiccione di usignolo s'è mai sognato di emettere. ...
da "Il grillo del focolare, racconto casalingo di fate" di Carl Dickens |
Io la cena fredda la lascio riscaldare: a me la cena fredda piace calda. (Totò, Peppino e i fuorilegge)
Voi non ci crederete, ma c'è chi si avelena con i barbabietoli. (L'uomo, la bestai e la virtu')
Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà. (Totò contro Maciste)
Mi piace un soprabito inventato dagli americani il cocomero, quello che si allaccia coi calamari. (La banda degli onesti)
L'uovo alla cocca no! La cucina francese non mi sconfinfera. (La legge è legge)
Voglio una frittata con tante, tante uova. Possibilmente di struzzo (Due cuori tra le belve)
Il whisky lo bevo corretto con una spruzzatina di Frascati. (Il coraggio)
A mattina mi colaziono un minestrone. (Il coraggio)
Vorrei un caffè corretto con un po' di cognac, più cognac che caffè... anzi, giacchè si trova, mi porti solo
una tazza di cognac e non se parla più. (Totò terzo uomo)
Io il caffè lo metto nel mezzo litro: mi piace il caffè corretto. (Il medico dei pazzi)
Mi piacciono i romanzi d'appendicite. (Siamo uomini o caporali)
Il vino bianco va servito assiderato. (Siamo uomini o caporali)
I numeri di telefono e gli indirizzi li annoto sul tacchino. Le spie, a volte, per non fare scoprire i loro segreti mangiano le carte: sono cartivore. (Totò a colori)
No, col paracadute non mi butto: le patate crude non mi sono mai piaciute. (Totòtarzan)
Queste ostriche puzzano. Dite che sono venute da Taranto? Allora sono venute a piedi, facendo una puntatina a Gorgonzola. Comunque, che puzzino o no, per me fa lo stesso. (Totò cerca moglie)
Le salsicce viennesi, sì, mi piacciono. Si deglutiscono con maggiore facilità di quelle di Norcia, a patto che non siano sigari toscani. (Totò cerca moglie)
Sempre carne, sempre carne... ma non ti vergogni? Carnivoro! (Che fine ha fatto Totò baby)
Mi eccita la seta, ho sete di seta. La calza è bella (Che fine ha fatto Totò Baby)
Mi devo fare una pappata d'insalata che la vitamina C mi deve uscire dalle orecchie. (Che fine ha fatto Totò baby)
Sono ghiotto di ossobuchi, ma mangio solo il buco perché l'osso non lo digerisco (Fifa e arena)
Ti offro una bella pizza: i soldi li hai? (Risate di gioia)
Lei vuole sposare mia figlia? No, non se ne fa niente: a me i generi non interessano, a meno che non siano alimentari. (Totò cerca casa)
Si dice che l'appetito vien mangiando, ma in realtà viene a star digiuni. (Totò al Giro d'Italia)
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...La vera passione dei siciliani era, e forse sarà ancora, quella del gelato in tutte le sue svariate forme: pezzi duri, spumoni, sorbetti, granite, croccanti con panna e diverse essenze, moka, giardinetto, tuttifrutti, cassata e via dicendo, oltre naturalmente ai gelati alla fragola, pesca, albicocca e pistacchio. In città le gelaterie abbondavano. Le più rinomate erano quelle alla Marina sotto le mura delle "cattive" e quella sotto il Teatro Massimo. Ma il nostro favorito gelatiere era Mommo ai Leoni, situato accanto al cancello d'ingresso del parco della Favorita presso i due felini che davano il nome alla piazza. Quante volte ci siamo fermati lì, sulla via di casa, per goderci un delizioso spumone di fragola e panna.
Non c'era neppure bisogno di scendere dalla carrozza perchè il cameriere ce li portava sopra un vassoio e li consumavamo seduta stante mentre il cocchiere prendeva il suo seduto in cassetta. Scendere per andarsi a sedere a un tavolino sul marciapiede era impensabile. Alla Marina era la stessa cosa, ma se si era in carrozzella d'affitto era considerato di pessimo gusto non sedersi ai tavolini. Soltanto le donne di malaffare restavano in carrozza...
tratto da "Estati felici" di Fulco Santostefano della Cerda, Duca di Verdura edito da Novecento
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