Le

Rubriche

Parola di Chef

introduzione e indici

 

Home Page

Le Ricette I Ristoranti Speciale Vini Magazine Le Vetrine

 

Numero speciale: I Sapori della Città - Palermo

a cura di Luigi Farina

 

15/07/07 - L'Antica Focacceria San Francesco

intervista a Vincenzo Conticello

"Focaccia" maritata e Pasta con le sarde

 

La “Focaccia maritata” (n.d.r.: maritata = sposata), viene messa in commercio con questo nome, proprio all’Antica Focacceria San Francesco, nel 1847, tredici anni dopo l’apertura della Focacceria stessa. La “Focaccia” nasceva “schietta” (n.d.r.: schietta = zitella, non sposata) ed era composta da del pane particolarmente morbido, che veniva chiamato “moffoletta” o “focaccia”, ripiena di ricotta di pecora, riscaldata con lo strutto di maiale (la sugna), accompagnata da caciocavallo che veniva, già da allora piallato, cosa che si continua a fare anche adesso, e infine ci si aggiungeva del pepe. Questa era la “focaccia”, che aveva origini almeno dal 1500, o forse ancora da prima. Il mio antenato Nino Alaimo, “Ninuzzo” come veniva chiamato, ritenne opportuno di usare le frattaglie, ed in particolare la milza e il polmone, che erano le frattaglie più povere, già di grande uso a Palermo, visto che circolavano da quasi mille anni, in quanto gli uccisori delle bestie venivano pagati proprio con le frattaglie, per il loro atto dell’uccisione dell’animale. Il mio antenato pensò bene di dare a questo tipo di frattaglie, milza e polmone appunto, un nuovo tipo di “look”, affettandole a fettine molto sottili con il coltello, soffriggendole leggermente sempre in quello strutto dove lui faceva già riscaldare la ricotta,

dandogli un sapore un po’ diverso, togliendo quella parte diciamo di “sangue”, che era insita in questo tipo di frattaglie, e quindi aggiungendo queste fettine alla vecchia “focaccia schietta”, ed essendo la milza simbolo fallico e carne, la chiamò “maritata”, e quindi la “focaccia schietta” è quella bianca, così come una vergine che andava in chiesa per sposarsi, virginea, bianca, poi entrando in chiesa si sposava con la “carne” ed usciva sposata, per cui si diceva “trasi schietta e nesci maritata”, questa era la simbologia, e chiaramente rimase famosa per il fatto che questo mio antenato e poi i suoi figli e i loro lavoranti, istruiti da loro stessi, stavano davanti alla porta come imbonitori e chiamavano le persone dicendo: “a vuole schietta o maritata, assa trase che c’a conso”. Questo era il loro modo di fare pubblicità al loro prodotto. La milza e il polmone che vengono utilizzati sono di provenienza esclusivamente bovina, il caciocavallo è il caciocavallo ragusano con una stagionatura di almeno un anno, quindi abbastanza salato, infatti non si aggiunge sale, la ricotta è rigorosamente una ricotta di pecora, il pane è un pane morbido con un po’ di sesamo sopra, che, per servire una buona “focaccia”, deve essere caldo. Questo pane così condito è chiamato “Focaccia maritata”, più comunemente “Pani ca meusa”, anche se quest’ultima dizione era riferita a quello che misero in commercio gli ambulanti, che non potendosi permettere la ricotta e il formaggio, mettevano in mezzo al pane le fettine di milza fritte nella sugna con il limone e un po’ di sale. Per la strada non ‘era la focaccia ma

c’era il pane, il pane è maschio, e quindi “maritato” è con la ricotta, quindi per la strada si sono invertite le parti, per cui “u pani ca meusa schietto” è senza ricotta, “maritato” è con la ricotta, visto che nella “focaccia” la base è la ricotta, lo strutto e il formaggio, nel “pane ca meusa” è la milza.

Dal 2000 l’Antica Focacceria San Francesco ha cominciato ad utilizzare i prodotti derivanti da allevamenti biologici ed in particolare la Granda, che è un allevamento di Fossano, vicino Cuneo, uno dei primi allevamenti certificati come biologici in Italia, e che in particolar modo nel periodo di “mucca pazza” ci aiutò a superare la crisi, visto che eravamo gli unici a poter dare un prodotto, che anche se povero, di alta qualità.

Sicuramente c’è da dire che la “focaccia” è un piatto che non ha mai perso il suo smalto, perché anche se oggi, per motivi di dieta, se ne consumano singolarmente un po’ meno, rispetto a trenta o venti anni fa, la costanza nel consumo non è cambiata, anzi i giovani, pur avendo a disposizione sul mercato, tante alternative quali l’hamburger o il wurstell, o altre pietanze con carni alternative, offerti da fast-food o esercizi del genere, debbo dire che non disdegnano la “focaccia maritata”, magari invece di farne una grande ne fanno una piccola, però devo dire che è molto apprezzata e addirittura l’ospite a Palermo in genere viene di proposito per provarla.

Andiamo alla Pasta con sarde, di fatto non abbiamo nessun merito sull’invenzione del piatto, noi, come Focacceria San Francesco, abbiamo il merito che nel 1851, sempre questo mio antenato, Nino Alaimo, che era erede del fondatore della Focacceria, come si chiamava allora, infatti prese il nome di Antica Focacceria nel 1902, avendo visto che la posizione del locale era ottimale, in quanto la piazzetta era utilizzata come stazione di posta e vi partivano tutte le carrozze e le dirigenze che andavano nei vari paesini all’interno della zona di Palermo, ed addirittura fino ad Agrigento, penso bene che dentro la Focacceria oltre alla focaccia ci fosse dell’altro, e quindi nel 1851 istituì il primo banco di gastronomia, dove preparava un primo piatto tutti i giorni, che cambiava, o la zuppa di ceci, o di fagioli, o il macco di fave, ed un secondo che era di norma lo spezzatino, o la trippa, o il bollito. Si iniziarono a fare una serie di cose per la prima volta in vendita al pubblico, come le arancine, visto che in precedenza le arancine venivano fatte solo per Santa Lucia o nelle case, e non ultimo azzardò la vendita di un piatto che fino allora veniva fatto solo nelle case patrizie, che era la pasta con sarde e finocchietti, un piatto che, apparentemente povero, cento anni prima era stato reso famoso da vari principi e principesse nelle loro case, dove con questa prelibatezza con il finocchietto selvatico, uva passa e pinoli, mescolati con lo zafferano, allietavano i loro ospiti nelle loro case. Nino, il mio antenato, figlio d’arte, infatti era figlio di Salvatore, vecchio monsù, che aveva lavorato presso la casa dei Principi di Cattolica, da cui aveva ereditato la conoscenza dei menu dei ricchi, come la caponata barocca, piuttosto che il brociolone dei ricchi, che era fatto in maniera lussuosissima, per finire con la pasta con sarde, penso bene, allora, fregandosene di quelle che potevano essere le ire di qualche nobilotto, approfittando anche del periodo storico in cui la nobiltà stava per cadere in disgrazia e molti stavano scappando a destra e a sinistra, il Principe di Cattolica era già scappato in Spagna, di rendere pubblica la pasta con sarde e finocchietti.

La ricetta è molto semplice: olio extravergine d’oliva, cipolla finemente tritata, delle sarde salate, che ai tempi venivano fornite dalla famiglia Florio, che venivano spinate, pulite e sciolte nell’olio assieme alla cipolla, si aggiungevano dei finocchietti di montagna, precedentemente lessati e tritati, di cui si conservava l’acqua per cucinarci poi la pasta, che solitamente era il bucatino, poi delle sarde fresche, anch’esse pulite, deliscate e private di testa e di coda, che venivano messe per intero, e non a pezzettini, quasi alla fine della cottura della salsa, si aggiungeva un cucchiaio di estratto di pomodoro e circa 10 20 grammi di zafferano puro, e per finire si aggiungevano “passolina”, che è l’uva passa siciliana, più piccola, proveniente dalle Eolie, prodotta dall’uva inzolia, con cui si fa la Malvasia, e pinoli, anche quelli siciliani, che servivano per coprire qualsiasi cosa potesse andare a male, all’interno del condimento, visto che i piatti venivano preparati e conservati per un paio di giorni, il pinolo era quello che dava la possibilità che qualsiasi alterazione di sapore dovuto all’acidità venisse attutito dal pinolo stesso, era quasi un conservante e un coprente di odori. Il piatto veniva servito allora, come oggi, con sopra una spolverata di “muddrica atturrata”, cioè pan grattato brustolino. All’inizio, nel 1851, la pasta con sarde veniva fatta solo espressa, in seguito, per motivi di comodità, perché dava così la possibilità ad un trasporto, e di essere divisa in maniera diversa, si cominciarono a fare i timballi al forno, che fra le altre cose per il catering, per i ricevimenti che venivano fatti allora era una cosa bellissima, questi bucatini stesi e fatti rotondi, come un timballo di anelletti al forno, con le sarde tutte messe sopra che facevano da guarnizione, e questo pan grattato brustolino che alla fine la gratinava al forno, e che rendeva questa teglia di pasta una cosa bellissima.

 

tutte le foto presenti in questa pagina ci sono state gentilmente concesse dall'Antica Focacceria San Francesco


Vincenzo Conticello

proprietario

Antica Focacceria San Francesco

Via Alessandro Paternostro, 58 – Palermo

Tel: 091320264

info@afsf.it


15 Luglio 2007

Oggi per Palermo è una giornata particolare, infatti si festeggia la Santa Patrona della città, Santa Rosalia, con quello che viene chiamato il Festino. Proprio per festeggiare questa ricorrenza abbiamo deciso di dedicare la puntata del mese di luglio ai Sapori della città di Palermo, dando voce ad alcuni dei ristoratori palermitani che ci spiegheranno alcuni dei piatti più prelibati di Palermo, in più se andrete a visitare la puntata di questo mese della rubrica A Tavola con l'Esperto - Gaetano Basile e la cultura gastronomica siciliana, troverete l'articolo che parla di un piatto tipico di questo periodo: Babbalùci di Sicilia: delizia di baroni e villani.

 

Realizzazione: Luigi Farina ( lfarina52@hotmail.com )

ottimizzato per 1024x768 pixel

Logo L. F. Soft

 

L. F. Soft

L. F. Soft di Luigi Farina

E-mail: info@spaghettitaliani.com