Artisti per
Alcamo (AXA). Come lei sa, con gli incassi di questa manifestazione sarà
istituita una borsa di studio in una disciplina artistica per un giovane
siciliano della provincia di trapani. Che cosa consiglierebbe agli aspiranti
registi?
Il mio consiglio
è quello di cercare una direzione, di non fare il teatro tanto per farlo e di
non fare tutto il teatro, ma di scegliere un settore, una strada,
un’impostazione, un approccio al teatro, non si possono fare tutti gli
spettacoli, perché si diventa generici.
Quello che
consiglio è cercare di capire qual è il sacrificio che ognuno di loro è disposto
a fare.
Per me il teatro
è sacrificio, rigore, determinazione, passione, studio, ricerca, non è una
strada facile da intraprendere.
Quello che
intendo io non è un teatro d’intrattenimento, invece ci sono dei settori di
teatro che sono d’intrattenimento, appunto bisogna capire quale direzione
intraprendere e questo è fondamentale per cominciare a parlare di questo
argomento con i giovani.
Fino al 28
Nov al CRT di Milano è andato in scena “carnezzeria” che gli è valso il
prestigioso premio UBU, cosa ha rappresentato per lei questo riconoscimento?
Ne ho vinti due
di UBU, con ‘npalermu e carnezzeria, quello che conta sono gli spettacoli che
facciamo più che i premi, per cui i premi servono per dare una maggiore
credenziale, ma non sono tutto. Quello che conta è il lavoro.
Come
definirebbe lei il suo teatro?
…come se fosse
una traversata nell’oceano al buio senza luce.
Non è un po’
tetro?
Non è tetro,
arduo si, ma non è tetro perché ci sono dei momenti al buio nell’oceano che sono
infinitamente belli.
Ha un regista
preferito o al quale s’inspira?
Non c’è un
regista a cui m’inspiro, ma ci sono dei grandi maestri chiaramente che per me
sono dei grandi riferimenti, come Kantor, o un lavoro che ha fatto Grotowsky,
dove al suo interno si svolge il training quotidiano, durante il quale gli
allievi provano i duri esercizi fisici ideati espressamente dal maestro con il
fine di aiutare gli attori a liberare le capacità espressive; grazie ad essi gli
allievi scoprono le possibilità del corpo, la sola cosa di cui, secondo
Grotowsky, il teatro non può fare a meno, ma anche tutto quello che ha a che
fare con la ricerca d’ensamble, il gruppo, per me è fonte di grande curiosità di
grande ammirazione, per cui non mi riconosco come regista scritturata che fa gli
spettacoli su commissione, ma semplicemente sono il leader di un gruppo, in cui
il gruppo è il cuore di questo corpo e se con c’è il gruppo per me non ha senso
questo percorso.
Indubbiamente
il regista cura tutti i particolari del suo spettacolo, ma cosa preferisce
gestire in modo più completo e minuzioso nella preparazione di un suo spettacolo
teatrale?
L’attore, mi
concentro esclusivamente sull’attore, il resto lo fanno loro, lo generano loro,
tutto ciò che toccano è scenografia, ma lo devono toccare.
Quali
difficoltà ha incontrato nel meridione?
Paradossalmente,
tutte le difficoltà che avevo prima, facendo il viaggio di ritorno, sono
svanite. Sono stata facilitata da questo allontanamento dal sud, per poi tornare
e tornando ho riscoperto un mondo.
Impossibile
non parlare d’enogastronomia quando si parla della Sicilia, Lei che rapporto ha
con il cibo?
Negli spettacoli
ho un rapporto con il cibo molto appassionato e molto viscerale, nei miei
spettacoli c’è sempre qualcuno che mangia qualcosa, proprio perché il cibo è un
simbolo importantissimo per il sud, quindi è chiaro che rientra nei miei
spettacoli, e nei miei spettacoli c’è anche il senso dell’antropofagia, del cibo
umano, del pasto umano. Comunque quasi sempre c’è qualcuno che ingoia qualcosa.
Lei cucina?
Cucina per se o per i suoi amici?
Cucinare mi
diverte, adoro la pepata di cozze, e i primi piatti in generale, vini rossi
veneti e piemontesi, ma non è tra i miei hobby, preferisco di gran lunga il
giardinaggio, ascolto molta musica, dalla musica trash, alla musica
contemporanea alla musica classica, mi piace molto la musica come dire”abusata”
quella che sentiamo da tutta la vita, la Nona di Beethoven o la marcia di
Radesky quella che ormai è entrata nella memoria collettiva, quella che basta
sentire una nota e subito si riconosce, queste musiche mi attirano molto proprio
perché ormai sono diventate un cliché, mi piace molto lavorare sul clichè per
scardinarlo.
Volendo fare
un gioco di fantasia, a quale piatto paragonerebbe “Vita mia”?
“Vita mia” è un
animale cotto al forno, un maiale al forno, un arrosto al forno, decisamente è
un pezzo di carne che va tagliata e va divisa in tante parti da gustare con un
buon vino rosso.
Ringrazio
Emma Dante e la compagnia Sud Costa Occidentale per la loro cordialità e
simpatia. |