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Gastronomia Palermitana

Le mille sfaccettature di una delle cucine più ricche al mondo per varietà e bontà

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Palermo è... il pane di Gaetano Basile


Articolo inserito da luigifarina8 il 20/07/2011 alle ore 14.07.41


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Un amico che abita in Francia da molti anni, mi disse che di Palermo gli mancava solo il pane "... sai... la mafalda col cimino sopra ...".
E noi palermitani diciamo "buono come il pane" in tempi di crackers e di merendine più latte e meno cacao.
"Quelli che mangiano il pane..." disse Omero per distinguere i popoli civili dai barbari che il pane non lo conoscevano.
Scrisse Ateneo che ad Atene si facevano settantadue tipi di pane, e quattordici ce n'erano a Selinunte.
Il pane di frumento, di orzo, di avena, di segala, fu specialità delle città greche di Sicilia.
Un chicco di grano cambiò, in effetti, la vita dei nostri antichi: ne rivoluzionò la storia, la cultura, la vita.
Il lievito per fare gonfiare la pasta pare che l'abbia inventato una serva per fare dispetto alla padrona: gettò nell'impasto di acqua e farina, i resti della birra dei padrone, una bevanda molto diffusa nell'antichità. Soprattutto nell'antico Egitto.
Insomma, inventò il lievito di birra che noi, in siciliano chiamiamo giustamente criscenti.
Dai Faraoni il segreto finì sulle tavole di Arabi ed Ebrei: "Betlemme" significa esattamente "casa del pane"...
Pare che proprio da noi, in Sicilia, lo conobbero i Romani, ma soltanto duecento anni prima della nascita di Cristo.
Si faceva con grano duro vestito, il "farro" per cui scrisse Nico Valerio che l'impero di Roma, più che col ferro delle spade, si fece col farro nelle scodelle.
Gli imperatori romani usarono il pane nelle campagne elettorali, come faranno più tardi i nostri politici con la pasta: ve lo ricordate?
"Panem et circenses" gridavano i romani e il pane se lo fecero con il grano che Verre rubava in Sicilia che era il "granaio di Roma".
Ma non solo quello rubò quel proconsole.
Per il pane si rovesciarono governi e si cacciarono via pure i re: "ordine pane, disordine fame" si diceva quando scoppiavano le "rivolte del pane".
Nel 1862, la "tassa sul macinato" imposta dal nuovo regno d'Italia, provocò sommosse che costrinsero i Savoia ad annullare il decreto.
Vi voglio ricordare che fu proprio il pane che contribuì a dare alle nostre nonne quella "funzione sociale" che è il matriarcato: facendo il pane in comune con le altre donne erano informate di tutto. Per farla breve, con il pane era nato il curtigghiu, o se preferite il "gossip" che mi pare più elegante.
Plinio il pane se lo mangiava con le ostriche, Pascoli con un filo d'olio sopra, mio nonno con i mandarini; Veltroni lo adora con la cioccolata....
Questione di tempi e di gusti.
I palermitani hanno un vero culto per il pane: tutti sono informatissimi sugli orari della sfurnata, perché a tavola il pane deve arrivare caldo di forno.
Le nostre passioni per il pane sono come quelle politiche: c'è chi stravede per la mafalda e chi per il parigino.
Scalette, rosette, sfilatini, come partiti con un loro pubblico fedele e devoto: non provate neppure a farli cambiare d'opinione.
I nostalgici del buon tempo antico ricordano ancora, con le lacrime agli occhi, il "cimi torti" e il "makallè", mentre coloro che si sono inurbati vi tortureranno cantandovi le gioie della vastedda o del vastdduni (... questione di dimensione...) pani contadini di forma rotonda.
Il filone italiano, da noi si chiama ancora pistuluni dal ricordo delle prime armi da fuoco portatili, mentre la cucchia, ovvero la coppia, é "risultato binario" di due pistuluni messi assieme...
Grande importanza ha sempre avuto nel nostro pane il ciminàuru dal greco "kyminon àgrion", ritradotto nel quasi italiano "cimino" che, giustamente Zingarelli indica come parte superiore della canna".
Se proprio volete chiamarlo in italiano dire pure "sesamo". Anche se non si aprirà un bel niente.
Nella civiltà contadina di una volta, il pane si faceva nel forno di casa: il pane, non dimentichiamocelo, fu la base della nostra alimentazione.
Spesso mangiato da solo, anzi pani e cutieddu (pane e coltello), come si diceva scherzando pure sulla miseria!
Ma, come dicono i contadini pani e vinu 'nforzanu lu schinu...
Vorrei invitarvi ad avere più rispetto per il pane: non buttiamolo via.
"Un tozzo di pane" rappresentava una volta la carità e invochiamo "il nostro pane quotidiano" come segno della benevolenza divina.
"Guadagnarsi il pane" si chiamava un tempo l'attività lavorativa.
Quando ancora c'era il lavoro.

Tratto da: "Palermo è ....." di Gaetano Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di Palermo.

 

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