Solo le 10.00.
Effettivamente lo spettacolo è andato in scena
ieri sera, ma l’accoglienza del pubblico è stata
tale per cui si è innescato un lungo dibattito
di gruppo e solo adesso riesco a “catturare”
Federico Toni, infaticabile coordinatore dello
spettacolo.
Come
avete selezionato tra il materiale a
disposizione i frammenti e le storie raccontati
nello spettacolo? Avete scelto quelli che più vi
hanno colpito emotivamente o quelli meglio
adattabili alla forma teatrale?
Entrambe le cose che tu hai
detto. Fortunatamente, o sfortunatamente, c’è
una quantità enorme di materiale su cui
lavorare. La cosa che ci interessava
maggiormente era cercare testimonianze dei
braccianti stessi, su come loro percepivano di
essere trattati. Gli anziani di adesso
continuano a parlarne, ma danno spesso per
scontato di non poter essere compresi e tendono
a ridurre tutto all’osso. Tutti dicono che ci si
alzava per lavorare e si andava a letto finito
il lavoro. E basta. Non dicono cosa accadeva in
mezzo. Quindi, all’interno di queste
testimonianze che sono abbastanza simili, Enrico
e Micaela hanno cercato di cogliere frammenti
anche molto semplici e intimi, capaci di offrire
spunti di riflessione e di studio più
approfondito. Il teatro può solo suggerire
questi spunti perciò è nata l’idea di un sito.
Il materiale su cui vi siete
basati proviene dall’archivio dell’antropologo
Giovanni Rinaldi, co-autore, insieme a Paola
Sobrero, del libro “La memoria che resta” e dal
vostro diretto contatto con alcuni braccianti.
Che relazioni sono nate tra voi e i protagonisti
reali?
Alla sera della prima c’era
Michele Sacco, uno dei massimi del movimento
bracciantile pugliese, che ora avrà circa 85
anni. Adesso è talmente grato ed entusiasta del
fatto che si parli di questa storia che non
desidera altro che vedere ampliato il Progetto
Braccianti. Non parla più di quello che è
successo cinquant’anni fa, ma dice che bisogna
ampliare il sito e non sa neanche bene cosa sia
un sito! E poi si lamenta che ci siano poche
canzoni. …Ce ne sono cento! E lui: “No, ma ve le
canto io” e si mette a cantare. …Tutte le volte
che si incontra Michele Sacco bisognerebbe avere
una telecamera o almeno un registratore!
Cosa accomuna i braccianti di un
tempo con gli attuali “braccianti a colori”,
come vengono chiamati nello spettacolo?
Nello spettacolo, anche se non se
ne parla direttamente, si impone la figura di
Giuseppe Di Vittorio. Grazie a lui la condizione
dei braccianti si è modificata, con piccole
conquiste quotidiane, come quella di poter
indossare il cappello in piazza, prerogativa
fino ad allora delle classi superiori.
Nell’opinione pubblica dei contadini era una
persona al loro livello, ma che nello stesso
tempo meritava di essere fotografato,
incorniciato e appeso accanto a Cristo. Quando
facevano le processioni, a distanza di venti
metri dalla Madonna, c'era la foto di Di
Vittorio.
Oggi non si hanno riferimenti
culturali così forti.
Tuttora nella piazza di Cerignola,
come di altri paesi del sud, da un lato ci sono
i braccianti e dall’altro i “signori”. E poi
magari nel bar si vedono i nuovi braccianti, gli
extracomunitari. Abbiamo cercato foto a colori
recenti di braccianti di colore, ma non se ne
trova una. Tutti sappiamo che la raccolta dei
pomodori è ormai in mano a cingalesi o
senegalesi per diecimila lire al giorno, ma è un
lavoro nascosto che non si documenta.
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I
BRACCIANTI E IL CIBO
All’interno
dello spettacolo si può recuperare anche un
motivo culinario?
Sono frequenti i
riferimenti al cibo, ma sono sempre molto
semplici. Il cibo era nutrimento, non c’era
molto da mangiare. Si parla del pane e
dell’acqua come momento liberatorio e di
comunione prima di andare a dormire. Nei
racconti c’è il continuo riferimento al pane
immerso nell’acqua salata o in poche gocce di
vino, al pane e cipolle, al pane e patate. In
molte testimonianze emerge che spesso gli adulti
spingevano i figli a dire che mangiavano carne e
pesce. Un’immagine di dignità legata alla
speranza. Infatti, dicevano di mangiare cose che
in realtà non potevano permettersi, con la
speranza, un giorno, di averle davvero, grazie a
uomini come Giuseppe Di Vittorio e alla lotta
quotidiana.
E per
festeggiare il successo di questo spettacolo
mezzo emiliano e mezzo pugliese quale menù avete
scelto?
Mi viene in mente
l’anno scorso, quando è stato presentato il
Progetto ad Argelato. Il papà di Enrico Messina,
Pino, è arrivato da Foggia con, a sorpresa,
delle caciotte e del vino pugliese. Noi abbiamo
offerto il vino della Cantina Sociale di
Argelato, perché non avevamo predisposto altro,
con crescenta e mortadella. Era un banchetto
povero, ma appropriato al tema. Tra l’altro
eravamo stati così presi da tutto il resto, che
avevamo a disposizione solo un coltello per 150
persone. Una signora del pubblico è andata a
casa e ne ha preso uno dei suoi. Un’altra è
andata a prendere delle bottiglie di vino,
perché temeva che non ce ne fossero abbastanza e
perché riteneva fosse migliore quello che faceva
suo nipote. Alla fine abbiamo mangiato tutti ed
è stato un momento conviviale molto felice.
Ringrazio
Federico Toni per la disponibilità e la
generosità delle risposte e lo saluto, con
l’augurio che il Progetto Braccianti trovi nuovi
spazi e approfondimenti, ma anche allegre
occasioni di banchetti a crescente, vino e
mortadella.
BIOGRAFIA ESSENZIALE DI FEDERICO TONI
Nato a Pieve di
Cento (BO) è uno spettatore onnivoro di teatro e
cinema fin dall'adolescenza.
Si è laureato al
Dams di Bologna e ha lavorato come aiuto-regista
con Arturo Brachetti, Patrick Rossi Gastaldi,
Gianni Ippoliti, Enzo Siciliano e altri ancora.
Ha fondato e
diretto la Rassegna-Festival Tracce di Teatro
d'Autore che dal 1997, in diversi Comuni del
bolognese e del ferrarese, ospita e promuove
esperienze artistiche delle nuove generazioni,
con attenzione all'evoluzione dei linguaggi
scenici. Assieme a Enrico Messina (Compagnia
Armamaxa) ha ideato e coordinato il Progetto
Braccianti.
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