Riascoltati per voi

Lo Spazio Musica di Spaghettitaliani

 

Explorations - Bill Evans Trio

di Mario Corsini

 

1 Israel (6:12)
2 Haunted Heart (3:27)
3 Beautiful Love (Take 2) (5:05)
4 Beautiful Love (Take 1) (6:07)
5 Elsa (5:10)
6 Nardis (5:52)
7 How Deep Is the Ocean? (3:33)
8 I Wish I Knew (4:41)
9 Sweet and Lovely (5:54)
10 Boy Next Door (5:05)

Bill Evans (pianoforte)

Scott La Faro (contrabbasso)

Paul Motian (batteria)

   

Riscoltato per voi

da Mario Corsini

27/10/2003

 

Nella storia dei jazz ci sono stati momenti in cui il linguaggio musicale è mutato in modo definitivo. Singoli musicisti di spicco ne sono stati gli artefici, altri li hanno seguiti indirizzando nuove correnti stilistiche verso la novità.

Non si sa bene chi o cosa fra fine 800 e l'inizio del nuovo secolo abbia coagulato precedenti seminalità (il blues, il ragtime, il folk, le marce..) nel senso di un iniziale assioma improvvisativo, ma è evidente che in ciò sia consistito il primo snodo stilistico decisivo per la nascita del jazz. E' ben noto invece il ruolo di Louís Armstrong nell'affermazione della figura del solista nel jazz laddove, fino a quel momento era prevalsa l'improvvisazione collettiva. II terzo artista rivoluzionario è stato Charlie Parker che ha sconvolto il linguaggio solistico rivoltandolo come un guanto in qualcosa dì inaudito, definito dal termine Be Bop.

L'ultima rivoluzione (fin'ora) è quella del Free Jazz avviata da Ornette Coleman relativa ancora una volta al linguaggio, ma anche alla figura del musicista negro del quale si rivendica la coscienza razziale. Rendere la creazione musicale il più possibile libera dai precedenti schemi armonici e grammaticali assurge a simbolo di un rifiuto del ruolo subalterno della gente di colore. A fianco di queste figure cardine non sono mancati altri musicisti capaci di riscrivere il linguaggio Jazz. Non credo sia azzardato definire innovatore proprio un artista che dell'introversione e della timidezza ha fatto velo per mascherare la sostanziale rivoluzionarietà del proprio messaggio musicale. Parlo di Bill Evans, pianista bianco che dalla fine degli anni '50 fino alla sua morte ha riscritto il lessico del piano jazz o più ancora del trio pianoforte - contrabasso - batteria. Lo storico trio con cui si è affermato vedeva Scott La Faro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. Le prime incisioni dal vivo al Village Vanguard che furono raccolte originariamente in due dischi, codificano già compiutamente quanto detto sopra e vengono considerate dei capolavori.

Ma l'album di cui parlo adesso è inciso in studio ed è il quarto da solista per Evans (che già aveva ripetutamente partecipato ad incisioni a nome di altri musicisti di grande rilievo). La sessione da cui nasce "Explorations" porta la data del 2/2/61. Tranne un brano (Beautiful love che è presente in due "takes") tutti i pezzi sono incisi di getto, a testimoniare l'urgenza dell'ispirazione e l'affiatamento dei musicisti. In particolare la presenza di Scott La Faro, grande contrabbassista prematuramente scomparso, appare fondamentale per dare a questa ed altre incisioni del periodo una maturità di stile al trio che potrei definire compiuta e definitiva. Ciò in particolare per "l'interplay", termine intraducibile che designa quella propulsione reciproca che
potenzia, influenza e determina la creazione estemporanea tra jazzisti che suonano insieme. Nel trio dì Evans ciò definisce una maniera, per così dire, "democratica" di suonare. Il trio classico
vede un solista principale, il pianista, accompagnato dalla sezione ritmica.. Qui si configura un diverso ruolo in cui i tre solisti sono sullo stesso piano. In altri termini è come se si volesse affermare: se il bassista o il batterista hanno genio ed idee da vendere perché confinarli all'accompagnamento all'interno di una tradizionale sezione ritmica? Consequenziale è lo svilupparsi di tre linee improvvisative contemporanee più o meno in primo piano non in base all'ordine degli assolo, semmai in base alla rilevanza dell'ispirazione di quell'istante. Ciò, curiosamente, accomuna la musica in esame da un lato al metodo dell'improvvisazione collettiva del jazz arcaico di New Orleans, e d'altro canto al Free Jazz in cui il parziale affrancamento da precedenti schemi armonici e strutturali spinge i musicisti ad improvvisare insieme nella maniera più estemporanea.. (vedi a proposito il capolavoro di Ornette Coleman, il disco "Free Jazz", dove non a caso partecipa La Faro). Bill Evans fa l'uno e l'altro pur non sembrando mai uscire dai linguaggi precedenti, mantenendo semmai rigorosissime le sue origini boppistíche. Nel contempo, come per ogni grande artista, la musica riesce a riflettere l'anima tormentata dell'uomo, già allora in preda a disagi personali sfociati in seguito in quella tossicodipendenza che ne avrebbe avviato la decadenza fisica. Il risultato è un jazz intenso, ricco di feeling, rigoroso e mai superficiale che potrebbe essere definito come "introspettivo". A tale proposito non sarà secondario accennare al modo in cui Evans atteggia la postura mentre suona: ricurvo sulle spalle, col capo praticamente ad angolo retto sul tronco quasi a volersi concentrare non solo fisicamente in un tutt'uno col piano e la tastiera. Ma ciò mai a scapito del feeling, peraltro ben sostenuto da un gigantesco La Faro sui tempi rapidi, calda e avvolgente la trama bassistica
sui lenti e le ballads.

In altre parole nasce un linguaggio che nella sua apparente naturalezza porta il trio Jazz ad una grammatica nuova dalla quale da allora in poi non è stato possibile prescindere fino ai nostri giorni. Fra i pianisti in particolare si può dire che molti dei nomi più importanti delle ultime decadi, da Keith Jarrett ad Herbie Hancock sino alle ultime leve del jazz (vedi Brad Meldhau, per
citarne uno che domina i referendum specializzati più recenti) non stanno facendo che rielaborare e sviluppare la lezione stilistica di questo maestro.

L'album "Explorations" è un esempio perfetto di lucidità artistica, un'opera compiuta che non mostra cali qualitativi in ogni suo brano. Cito per primo "Nardis", attribuito con qualche incertezza a Miles Davis. Quest'ultimo, che stimava Evans al punto da sceglierlo come pianista per il suo capolavoro "Kind of blue", non nascose mai l'idea che questo brano fosse tagliato su misura su dì luí. Evans se ne appropria e il risultato è strepitoso! Dopo l'esposizione del tema la prima improvvisazione spetta al bassista al cui splendido assolo si accompagnano con discrezione le spazzole e i piatti di Motian e i trilli, i bi- e tricordi di Evans. Ed è naturale che il feeling discreto e propulsivo passi alle dita del pianista mentre il bassista si produce in qualcosa a cavallo tra l'accompagnamento e il solismo in un rigoroso tempo di 4/4 scandito dai tre con libertà, ma anche con metronomica precisione: una delizia di timbri, armonie e chiaroscuri tra l'esotico e l'impressionista. Ma se "Nardis" alla fine è un brano dove il ruolo del solista si avverte più distinto, in altri pezzi (come "Sweet and lovely") il trio procede per una improvvisazione più paritaria e ciascuno dei tre calibra i volumi, i toni, i "breaks" in un unico magnetico altalenare, tra arresti e ripartenze, accordi e modulazioni così perfetti da apparire inevitabili. A ciò è da ascrivere la naturale scioltezza che accompagna questo jazz stellare.

Ed ancora "Israel", l'elegante tema di John Carisi, già eseguito da Davis, Mulligan e compagni nello storico disco "Birth of the Cool", qui trasfigura l'originario rigore cameristico in un lirico archetipo e sviluppa un feelìng quieto tramite ghirigori di note collettive ed individuali a un tempo. Simile clima si respira in "Beaufiful love".

Un discorso a parte merita l'interpretazione delle "ballads" cui Evans riserva un nuovissimo svolgimento in grado di conservare miracolosamente intatta la cantabilità, la liricità, in una parola l'essenza di queste melodie cento volte interpretate da sassofonisti o cantanti strutturalmente ritenuti più espressivi per il genere rispetto ad un pianista. Basti prendere la versione di "How deep ís the ocean", celeberrima "ballad" dì Irvìng Berlin: in questa versione il tema non viene enunciato all'inizio, ma, accennato tra i meandri di indirette citazioni armoniche, riemerge sempre meno implicito sino alla completa esposizione finale, in tutta la sua bellezza romantica. Basterà ascoltare una qualsiasi delle più pregevoli versioni dello stesso brano di altri artisti (per esempio quella, più volte ricreata da Ella Fitzgerald) per accorgersi che il trio Evansiano ne ha saputo carpire la più profonda essenza melodica, emotiva ed artistica. Cito ancora la splendida, delicata "Elsa" o l'introspettiva "I wish i knew". Da questo momento in poi nasce una nuova maniera di interpretare le "ballads", ma credo di poter dire che le vette raggiunte qui e in altri capolavori dei trio siano irraggiungibili.

Dalla preziosa riedizione in compact dísc "The complete Ríverside recordíngs" traggo la seguente illuminante citazione: "Music is the most important and meaningful thing in my life and music contains more of me than any other thing about my life" Bill Evans.

Mario Corsini